venerdì 15 febbraio 2019

Il travaglio del giovane Marco, ovvero: la dignità, chi non ce l'ha, non può darsela

Marco Travaglio
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Un giornalista senza peli sulla lingua, Marco Travaglio, salvo quando si tratta di prostrarsi al cospetto di qualche figura di spicco (ma anche dei gregari) del Movimento, di cui il Fatto Quotidiano è l'house organ fin dalla prima ora.
Come dimenticare l'intervista del 13 Giugno 2012 al fondatore del Movimento 5 Stelle? Roba che al confronto Emilio Fede è Larry King... In quella circostanza l'impavido sedicente erede di Indro Montanelli, ospite in quel di Sant'Ilario, presso la magione del comico, si sperticava in una delle performances più prone che la storia del giornalismo italiano ricordi.
L'intervista si apre con Beppe che strimpella al pianoforte un motivetto jazz mentre il sexy reporter traccia paralleli cinefili per prognosticare il boom dei Cinquestelle alle imminenti elezioni politiche. Lo si può immaginare sognante ed estasiato al cospetto del guru della democrazia diretta e già dalle prime righe s'intuisce che la vis polemica tante volte ostentata verrà messa in un cantuccio per fare spazio alle lodi; pare di vederlo, con gli occhietti umidi e lo strummolo barzotto, ascoltare estasiato un Beppe preoccupato per il repentino, travolgente, successo che i sondaggi attribuiscono ai pentastellati:

«Se ne stanno andando troppo in fretta. Io faccio di tutto per rallentare, mi invento anche qualche cazzata per dargli un po’ di ossigeno, ma non c’è niente da fare, non si riesce a stargli dietro. Devo darmi una calmata nell’attaccare i partiti, anzi devo convincere la gente a fare politica, a impegnarsi, a partecipare. È una fase nuova, dobbiamo cambiare un po’ tutti, anch’io. La liquefazione del sistema è talmente veloce che domani rischiamo di svegliarci e non trovarli più. E poi come si fa? Non siamo pronti a riempire un vuoto così grande»
L'intervista del 2012
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È sufficiente l'incipit dell'intervistessa per comprendere quale potrà essere il prosieguo: il rottweilier Travaglio è un cucciolo scodinzolante che lecca la mano del padrone certo che quest'ultimo non gli lesinerà un osso da rosicchiare, forse è per questo che al glissare di Grillo sull'assenza di un vero programma, sulla mancanza di democrazia interna, sulle epurazioni dei dissidenti, sulle allucinazioni del co-fondatore Gianroberto Casaleggio, sul fatto che dal partito-azienda di berlusconiana memoria si sia passati all'azienda-partito, Marcolino non accenna ad una seppur timida reazione. D'altronde quando Beppe si mostra infastidito di fronte alle domande più ficcanti (sic!):
«Ma cosa scrivi, facciamo due chiacchiere e basta. Per le interviste è presto, lasciami godere ancora qualche giorno lo spettacolo. Poi penseremo al Parlamento, che lì le rogne cominciano per davvero»
il cucciolo Marco glissa ossequioso, accettando passivo le non risposte del guitto genovese e l'intervista scivola via, untuosa come le due pagine sulle quali è spalmata, trasformata nel monologo inconcludente di un vanesio assetato di gloria.

Da allora sono passati sette anni, costellati di menzogne (che gli sono costate anche qualche guaio giudiziario) costruite ad hoc per sostenere un Movimento che, alla prova dei fatti, ha dato origine a quello che senz'ombra di dubbio è il peggior governo del dopoguerra. Travy, forte del marchio di giornalista buono da parte di Alessandro Di Battista, non demorde e non perde l'occasione per mostrare, sotto il suo sorrisetto da schiaffi, la pochezza che da sempre lo contraddistingue (come dimenticare l'umiliazione subita da parte di Silvio Berlusconi durante la trasmissione Servizio Pubblico?). È il caso della sua ultima performance su La7, in qualità di notista politico, durante quale ha sfoggiato una coreografia degna del peggior Vanzina, ostentando sulla propria libreria un rotolo di carta igienica con su stampata la faccia dell'odiato Matteo Renzi con il contorno di una merda fumante.
Che bel numero, Marcolino. Adesso il Pulitzer non te lo leva nessuno.

Marco Travaglio ospite a Tagadà il 13 febbraio 2019
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