martedì 23 ottobre 2018

Il "metodo Travaglio" paga: 95mila euro a Tiziano Renzi


Questa volta al bilioso zerbino dei pentacosi è andata male: è stato condannato per diffamazione per aver definito "bancarottiere" Tiziano Renzi in un articolo del Fatto Quotidiano pubblicato il 24 dicembre del 2015 dal titolo "I babboccioni".
La sentenza del giudice Lucia Schiaretti parla chiaro:
«In tema di cronaca giudiziaria relativa alla fase delle indagini preliminari grava sul giornalista il dovere, proprio in ragione della fluidità e incertezza ontologica del contenuto delle investigazioni, di raccontare i fatti senza enfasi o indebite anticipazioni di colpevolezza, non essendogli consentite aprioristiche scelte di campo o sbilanciamenti di sorta a favore dell’ipotesi accusatoria, capaci di ingenerare nel fruitore della notizia facili suggestioni, in spregio del principio costituzionale di presunzione d’innocenza dell’imputato e a fortiori dell’indagato sino a sentenza definitiva».

Il 29 luglio 2016 la vicenda si è chiusa con un’ordinanza di archiviazione, su richiesta della stessa procura.
Prosegue il giudice:
«Quando le informazioni desumibili da un provvedimento giudiziario sono utilizzate per ricostruzioni o ipotesi giornalistiche tendenti ad affiancare o a sostituire gli organi investigativi nella ricostruzione di vicende penalmente rilevanti e autonomamente offensive, il giornalista deve assumersi direttamente l’onere di verificare le notizie e di dimostrarne la pubblica rilevanza, non potendo reinterpretare i fatti nel contesto di un’autonoma e indimostrata ricostruzione giornalistica».
La sentenza riguarda anche altri due articoli, uno del 9 gennaio 2016, a firma di Gaia Scacciavillani, dal titolo: "Banca Etruria, papà Renzi e Rosi. La coop degli affari è nel mirino dei pm" e un editoriale dello stesso Marco Travaglio del 16 gennaio 2016 dal titolo "Hasta la lista". Il titolo del primo articolo lasciava intendere che Tiziano Renzi fosse coinvolto nell'inchiesta giudiziaria riguardante la coop Castelnuovese (notizia inventata di sana pianta, infatti nel contenuto dell'articolo mai si menziona tale coinvolgimento); nel secondo articolo il nome di Tiziano Renzi veniva accostato a quello di Valeriano Mureddu, indicato da Travaglio come appartenente alla P3, che "vive a Rignano sull’Arno a due passi dalla casa del premier e ha fatto affarucci con Tiziano Renzi", senza peraltro indicare quali fossero gli "affarucci" in questione.

Il direttore del Fatto Quotidiano è stato condannato a risarcire 95mila euro al padre dell'ex presidente del Consiglio.

Nessun commento:

Posta un commento